Le discriminazioni italiane sbarcano all’ONU

Le discriminazioni italiane sbarcano all’ONU

A Novembre le Naizoni Unite eseguiranno la trentaquattresima revisione periodica universale italiana e un punto caldo sarà proprio quello sui diritti umani che l’ONU analizzerà.

La legislazione manca di completezza. Figli omosessuali non ancora del tutto protetti. Nessuna regolamentazione esplicita su omofobia e transfobia. Difficoltà a riconoscere lo status di rifugiato per orientamento sessuale. Ma soprattutto incitamento all’odio direttamente dai politici.

 Una coalizione formata da: Arcigay – Associazione LGBTI italiana, Centro risorse LGBTI, Certi diritti – Associazione radicale, Oii Italia, Out Sport ha quindi deciso di presentare queste evidenze alla commissione dell’ONU.

Nonostante la recente (e anche tardiva) inclusione dell’Unione civile per le coppie dello stesso sesso, l’Italia manca di una normativa che spenga gli accessi di omofobia indebita.

 

Secondo una ricerca condotta dall’Arcigay, circa il 20% degli omosessuali e delle lesbiche intervistati sono stati insultati o molestati a causa del loro orientamento sessuale. La percentuale raggiunge il 30% tra gli uomini gay sotto i 25 anni.

Nel 2016 è stata approvata una legge che prevede un’eguale diritto sulla convivenza civile in merito a materia fiscale, previdenziale ed ereditaria. Ma non gli è consentito avere tanti diritti che coppie eterosessuali detengono: Ai figli dei genitori omosessuali è negato il diritto di essere mantenuti, assistiti, educati e istruiti dal genitore non legale, avere una continuità affettiva garantita in caso di separazione della coppia omosessuale o morte del genitore legale e di acquisire la parentela (nonni, zie e zii, cugini) del genitore non legale. I figli di genitori omosessuali non hanno la certificazione di nascita che riporta entrambi i genitori. I documenti danno rilevanza solo al genitore biologico.

 

Inoltre una ricerca dimostra ostilità nelle scuole a causa dell’orientamento sessuale. Un tema che andrebbe sensibilizzato soprattutto per salvaguardare i ragazzi.

 

Nell’accesso al sistema sanitario da parte di personale medico e non medico; Il 78% degli uomini e il 86,8% delle donne non rivelano il proprio orientamento sessuale al proprio medico. Di conseguenza, le persone Lgbt hanno un accesso ancora più limitato alle informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva legate ai loro bisogni.

 

La legge n.164/82 disciplina la riassegnazione di genere e la conseguente modifica del documento di identità. La legge, tuttavia, lascia spazio all’interpretazione, poiché non specifica se la correzione debba riguardare i tratti sessuali primari o secondari e se un trattamento farmacologico sia sufficiente o sia necessario un intervento chirurgico perché la modifica abbia luogo. La Corte Costituzionale ha però approvato due leggi che permettano di determinare il sesso di una persona a prescindere che abbia subito intervento chirurgico o meno, ma! ha anche asserito che «bisogna accertare la natura e l’estensione delle modifiche apportate alle caratteristiche sessuali, che contribuiscono a determinare l’identità personale e di genere». Un paradosso perciò che crea confusione e problemi nel firmare documenti o locazioni. Costituisce anche una violazione della privacy ogni volta che diventa necessario mostrare un documento che non corrisponde all’aspetto del suo portatore. Poiché il sesso è anche indicato nel codice fiscale italiano, una semplice modifica del nome di nascita non è sufficiente per proteggere la privacy dell’individuo.

 

Speriamo quindi che l’ONU agisca e prenda provvedimenti, regolarizzando finalmente queste particolarità che interferiscono ingiustamente nella vita di un individuo appartenente al mondo LGBT.

 

-RedSara

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