SENSE8 E LE NOMANITA: QUANDO UN TELEFILM DIVENTA UN MANIFESTO DI AMORE, EMPATIA E UGUAGLIANZA

Tornerà a breve la seconda stagione di Sense8, il gioiellino prodotto da Netflix.

 

Era da circa un anno che ero intenzionata a vedere un telefilm di cui sentivo spesso parlare su internet, così una notte, siccome soffro di insonnia, decisi di iniziarlo. Ventiquattro ore dopo, avevo finito tutta la prima stagione e avevo visto anche lo speciale di Natale che anticipa la seconda stagione. Sto parlando di Sense8, telefilm sci-fi targato Netflix e diretto dalle sorelle Wachowski (la trilogia di Matrix) e J. Michael Straczynski (Babylon 5).

La serie racconta la vita di otto persone sparse per tutto il mondo, completamente diverse sia per lingua, etnia, religione, orientamenti sessuali, carriera e stile di vita che, d’un tratto, si ritrovano a condividere emozioni, percezioni, luoghi, qualsiasi cosa. Un’improvvisa connessione psichica che verrà spiegata attraverso le varie puntate e che porterà lo spettatore a vivere otto vite completamente diverse in soli cinquanta minuti, ad immedesimarsi nelle varie situazioni e, soprattutto a mio avviso, a comprendere le loro scelte e a sentirsi il nono sensate.

Tra queste otto “storie” vi è la storia di Nomi (Jamie Clayton), blogger transgender che vive nel quartiere Castro di San Francisco con la sua ragazza Amanita (Freema Agyeman, nota per il suo ruolo in Doctor Who). Non posso dire di aver visto tutti i telefilm esistenti ma ne ho visti veramente tanti e sono sicura quando dico che loro sono una delle rappresentazioni più belle in assoluto dell’amore (sia lgbtq che non) e dell’esserci per l’altra persona qualsiasi cosa accada, per quanto sia folle o insensata o ai limiti della sopportazione.

La mia ragazza era un ragazzo? La mia ragazza è un hacker ricercato dalla polizia e siamo costrette ad essere delle fuggitive? La mia ragazza vede e parla con persone che può vedere e sentire solo lei, che abitano dall’altra parte del mondo e che sono in grave pericolo? Non c’è problema, sarò sempre al suo fianco perché non esistono i suoi problemi, esistono i nostri problemi (cit. Amanita) e andremo avanti mano per mano.

Basta un loro guardarsi negli occhi per percepire la devozione, la comprensione, l’amore, l’autenticità di quel sentimento che nonostante tutte le avversità sembra la cosa più semplice e naturale. E’ una coppia che ti fa sognare nel vero senso della parola, che ti fa dire: “Cavolo guarda quanto si amano e sono felici e unite nonostante tutti i casini. Allora c’è speranza anche per me!”, che ti fa addormentare serena, con il sorriso sulle labbra e che ti fa credere in una vita di coppia felice e duratura, semplice e unita e che nella vita tutto è possibile, poiché l’impossibile è a un bacio di distanza dalla realtà (altra cit. Amanita).

Oltre al farti sperare di nuovo nell’amore, questo telefilm si tinge di colori arcobaleno dalla testa ai piedi o meglio, in questo caso, dai titoli di testa a quelli di coda: a partire dalle registe, le sorelle Wachowski, entrambe transgender che con il loro talento dietro la telecamera e le loro esperienze personali danno quel tocco di vero, di vissuto, di puro e intenso capolavoro; Jamie Clayton, attrice transgender che interpreta Nomi in modo eccelso; i personaggi, dove troviamo anche una coppia gay e, dulcis in fundo, la trama.

Una produzione così ha fatto in modo che si esplorasse il mondo lgbtq in modo veritiero, senza forzature o finzione, con naturalezza e autenticità, raccontando temi come il coming out o il gay pride e il non essere accettati dalla propria famiglia talmente bene che ti fa sentire parte di quelle scene, ti fa soffrire, ti fa gioire e ti fa vivere ciò che vivono i personaggi attraverso interpretazioni, scene e dialoghi eccelsi.

Sicuramente non è un telefilm per tutti, è molto esplicito e le prime puntate possono lasciare un po’ interdetti, confusi ma lasciatevi coinvolgere dalle loro storie, dal legame che in ogni puntata cresce sempre di più e soprattutto dal fatto che se fossimo tutti un po più empatici, tutte queste discriminazioni non esisterebbero. Come direbbe Nomi: “Oggi marcerò per ricordare che non sono solo un io ma che sono anche un noi e noi marciamo con orgoglio.”

-Jules

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